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“Stronzate!” esclama Bacon spazientito quando Daniel Farson gli chiede se è contento di essersi guadagnato un posto nell’Olimpo della storia dell’arte. La reazione è sincera, non gliene importa degli orpelli della fama, figuriamoci della posterità. Bacon rema contro l’ondata della moda artistica, che in questi anni abbraccia l’astratto: vuole dipingere la tragica bellezza della vita e se arriva a distorcere la figura umana è solo per trarne una verità più grandiosa e violenta. Analogo intento sembra animare questo libro – vivida memoria personale anziché biografia ufficiale – che riesuma materiali di prima mano raccolti nel corso di un’amicizia iniziata nel 1951 in un locale di Soho e durata oltre quarant’anni. Quello di Farson è il racconto sboccato e senza veli di un artista fuori misura, capace di amori smodati e odi feroci, di slanci magnanimi e spietate calunnie. Fra una bevuta di champagne e una frecciata al vetriolo, lo seguiamo nelle spumeggianti scorrazzate “tra i bassifondi e il Ritz”, al cui capolinea c’è sempre Soho, la bohème di Londra, la seconda casa, se non la prima, di scrittori e artisti che consumano il loro talento nell’alcol. Per Bacon la discesa nel sottobosco omosessuale va di pari passo con l’inarrestabile ascesa artistica: i capolavori in cui esplode una sessualità furiosa passeranno alla storia, ma se qualcuno gli chiede di che cosa si occupi, risponde caustico: “Sono una vecchia checca”.