For Costa Vece, the series ‘Revolucion – Patriotismo’ was a repeated and intense negotiation of the issues around nationality, migration and home, around borders and cultural integration. He examined the aesthetics of revolution and separation, and adapted them for the public, thus developing a unique view on symbols of political struggle and of independence.

Mario Schifano, risoluto pittore in anni nei quali l’arte italiana prendeva invece la via della smaterializzazione dell’opera, è un artista per il quale le categorie del personaggio, della leggenda, della biografia – tormentata, esagerata, maledetta – hanno a lungo prevalso sulla considerazione meditata delle opere. Questo libro affronta la sua vicenda pittorica concentrandosi sugli inizi sfolgoranti della sua produzione – dal 1958 al 1964, anno della prima partecipazione alla Biennale di Venezia – e la studia a partire dai più trascurati fondamenti: considerando i documenti dell’epoca; identificando, datando e mettendo in sequenza le sue opere; analizzandone il linguaggio pittorico a confronto con quello degli artisti a lui coevi; e, infine, riconducendolo alla cultura, visiva e non, del suo tempo. Ne è restituito un Mario Schifano meno personaggio e più artista, meno scostante e più rigoroso nelle ricerche, il cui valore sta nella coerenza, nella tempestività e nell’autonomia delle scelte, oltre che nella felicità istintiva della sua pittura.

Dalla sua scomparsa nel 1968, l’influenza di Marcel Duchamp, “l’uomo più intelligente del xx secolo” nelle parole di André Breton, non ha smesso di imporsi nel paesaggio dell’arte contemporanea. Dal Futurismo al Cubismo, dal Dadaismo al Surrealismo, la sua arte si intreccia alle grandi avventure estetiche del Novecento senza mai ridursi a nessuna di esse. Se Picasso insiste nel propugnare la figura dell’artista demiurgo, Duchamp, grazie all’invenzione del readymade, incarna invece il modello dell’artista contemporaneo ed è riconosciuto a partire dagli anni sessanta come fonte incontestabile di ispirazione da parte delle giovani generazioni di artisti. Molto è stato scritto sulla sua opera, ma assai di meno sulla sua vita. Una vita che Duchamp costruisce al di fuori delle categorie correnti, non già come artista o anarchico ma, per riprendere un suo neologismo, come “anartista”. Eleganza distaccata, libertà di indifferenza, compenetrazione dei contrari cui si aggiungono una costante rivendicazione della pigrizia e un disprezzo fisiologico per il denaro – diventano in lui gli strumenti originali di un modo inedito di porsi di fronte al mondo e alle cose. “Preferisco vivere, respirare piuttosto che lavorare.” Duchamp si è pronunciato spesso sulla propria vita con caustiche dichiarazioni che nel loro insieme delineano una personale economia di vita (ridurre i bisogni per essere davvero liberi) e una vera e propria arte di vivere. D

Dalla sua scomparsa nel 1968, l’influenza di Marcel Duchamp, “l’uomo più intelligente del xx secolo” nelle parole di André Breton, non ha smesso di imporsi nel paesaggio dell’arte contemporanea. Dal Futurismo al Cubismo, dal Dadaismo al Surrealismo, la sua arte si intreccia alle grandi avventure estetiche del Novecento senza mai ridursi a nessuna di esse. Se Picasso insiste nel propugnare la figura dell’artista demiurgo, Duchamp, grazie all’invenzione del readymade, incarna invece il modello dell’artista contemporaneo ed è riconosciuto a partire dagli anni sessanta come fonte incontestabile di ispirazione da parte delle giovani generazioni di artisti. Molto è stato scritto sulla sua opera, ma assai di meno sulla sua vita. Una vita che Duchamp costruisce al di fuori delle categorie correnti, non già come artista o anarchico ma, per riprendere un suo neologismo, come “anartista”. Eleganza distaccata, libertà di indifferenza, compenetrazione dei contrari cui si aggiungono una costante rivendicazione della pigrizia e un disprezzo fisiologico per il denaro – diventano in lui gli strumenti originali di un modo inedito di porsi di fronte al mondo e alle cose. “Preferisco vivere, respirare piuttosto che lavorare.” Duchamp si è pronunciato spesso sulla propria vita con caustiche dichiarazioni che nel loro insieme delineano una personale economia di vita (ridurre i bisogni per essere davvero liberi) e una vera e propria arte di vivere.

Fin dagli esordi Duchamp ha intrecciato con la fotografia un rapporto fecondo che ha attraversato la sua opera a più livelli, caricando il medium di nuove potenzialità. Macchina che vede ma non sceglie, che preleva frammenti di realtà senza l’intervento diretto della mano dell’artista, l’apparecchio fotografico è del tutto congeniale alla poetica duchampiana dell’indifferenza e del non fare. Non a caso egli abbandona il disegno e la pittura più tradizionali – colpevoli di fermarsi al retinico, cioè a una sensorialità e quindi anche a una scelta dettata dal gusto – per abbracciare un’attitudine “infrasottile”, categoria che racchiude quanto sfugge alla percezione umana e che può essere colto unicamente con l’ausilio della materia grigia. L’immagine – in primis quella fotografica – non è mai solo quello che è, né mostra solo ciò che rappresenta. Al contrario, è una porta su qualcos’altro, una breccia in quella quarta dimensione su cui Duchamp si arrovella senza requie: essa richiede allo spettatore un supplemento di attenzione, un secondo sguardo che non si fermi alle apparenze, dietro le quali, come nel gioco degli scacchi, un gambetto è in agguato. Sarebbe ingannevole, per esempio, considerare le numerose apparizioni fotografiche di Duchamp – la sua tonsura a stella immortalata da Man Ray, l’artista seduto a un tavolino e mentre cammina per strada nelle celebri immagini di Ugo Mulas, o ancora lo strabiliante “Marcel Duchamp all’età di 85 anni” – come tradizionali ritratti d’autore o di circostanza. Nascono invece dall’azione combinata di chi sta davanti e dietro la macchina fotografica, in un complesso gioco di rimandi dove le allusioni impalpabili eppure cruciali dell’arte di Duchamp non lasciano dubbi sulla loro intenzionalità come opere. Elio Grazioli documenta tutti i casi in cui il fotografico e la riflessione su di esso fanno capolino nell’opera dell’artista e ne indaga le risonanze all’interno del sistema duchampiano. Un sistema in cui ciascun elemento entra a pieno titolo in una strategia complessiva che prescinde dalla diversità dei materiali e anticipa un modo di fare arte che è oggi fra i più diffusi: quello di non specializzarsi in un solo linguaggio ma di metterli tutti al servizio di un’idea.

Lucido protagonista della “nuova topografia” americana degli anni settanta, artista costantemente impegnato a decostruire la politica dei luoghi e delle rappresentazioni, sin dai suoi esordi Lewis Baltz ha accompagnato alla ricerca visiva una meditata attività di scrittura critica e autocritica. Le riflessioni raccolte in questo volume illuminano da prospettive differenti la sua opera ultraquarantennale e il contesto transatlantico nel quale si è sviluppata: interventi che hanno affiancato le opere topografiche del primo periodo, narrazioni incorporate nei lavori testo-immagine della fine degli anni ottanta, ma anche una corposa serie di saggi dedicati ad alcuni tra i più importanti fotografi e artisti del Novecento. In questi ultimi l’ascolto dell’enigmatica materialità delle opere si fonde con un ragionare secco e disincantato sulla loro adeguatezza culturale e, infine, politica. Rientrano in tale filone gli scritti dedicati a Walker Evans, Edward Weston, Robert Adams, Michael Schmidt, Allan Sekula, Thomas Ruff e Jeff Wall, che in modi diversi interrogano le possibilità e i limiti delle pratiche fotografiche di stampo modernista; in alcuni passi affiorano inoltre circostanziati apprezzamenti di artisti come Krzysztof Wodiczko, Felix Conzàlez-Torres, Barry Le Va, Chris Burden, James Turrell, Robert Irwin, John McLaughlin e Alessandro Laita, con i quali Baltz ha condiviso aspetti cruciali della ricerca e, in diversi casi, della propria biografia…

Questo volume è il “meridiano” del Superstudio. Raccoglie per la prima volta tutte le opere, i testi e i progetti, del più celebre gruppo di “architettura radicale”, secondo la definizione canonica di Germano Celant. Dopo cinquant’anni in cui alle rimozioni storiografiche si sono alternati continui revival sia in ambito nazionale che internazionale, il libro fa il bilancio di questa eccezionale esperienza collettiva dell’architettura del Novecento. Oggi i disegni, i modelli, i celebri fotomontaggi, le lampade, i tavoli e gli altri oggetti di design creati dal Superstudio sono esposti in molti musei del mondo, fra cui il MoMA di New York, il Centre Pompidou di Parigi, il Frac di Orléans, il Centro per l’arte contemporanea Pecci di Prato e il MAXXI di Roma. Non deve quindi meravigliare che il Superstudio sia un classico, come è nel destino di tutte le avanguardie che una volta storicizzate e musealizzate non riflettono più solo istanze rivoluzionarie, ma costituiscono un nuovo orizzonte di valori condivisi, molto meno astratti e atemporali, che travalicano i confini specialistici per diventare modelli estetici tout court. Tutti i progetti del Superstudio, dai più noti Il Monumento Continuo e Le dodici Città Ideali a quelli più estremi generati dal ciclo della Cultura materiale extra-urbana, sono qui generosamente illustrati da un’enorme mole di disegni e documenti inediti, frutto di un lungo e accurato lavoro di ricostruzione archivistica. Sommario Oggetti come specchi. L’utopia critica del Superstudio di Gabriele Mastrigli Antefatti. Superstudio e Firenze di Cristiano Toraldo di Francia Nota al testo I. La fondazione del superstudio (1966) 1. Superarchitettura II. Un viaggio nelle regioni della ragione: progetti, pensieri, architetture (1965-1968) 2. Design d’invenzione e design d’evasione 3. Abitare con libertà 4. Tre architetture nascoste 5. Dall’industria al tecnomorfismo 6. Una «macchina per vacanze» a Tropea 7. Concorso per la sistemazione della Fortezza da Basso 8. Progetti e pensieri 9. Un viaggio nelle regioni della ragione III. Istogrammi d’architettura: da un catalogo di ville al monumento continuo (1968-1972) 10. Distruzione, metamorfosi e ricostruzione degli oggetti 11. Un catalogo di Ville 12. Istogrammi d’architettura 13. La casa, l’ufficio, la scuola: Sistema Parete Castelli 14. Due banche a Firenze 15. Concorso per il padiglione italiano di Osaka 16. Concorso per un parco urbano intitolato alla Resistenza a Modena 17. Concorso per l’Archivio di Stato di Firenze 18. Concorso per l’aerostazione di Genova 19. Grazerzimmer (La stanza di Graz) 20. Il Monumento Continuo IV. Verso un’architettura non-fisica: progetti didattici (1970-1972) 21. Inventario, Catalogo, Sistemi di flusso… una dichiarazione 22. L’architettura riflessa 23. Architettura concettuale / Architettura nascosta 24. Trigon ’71. Tre modi di intervento indolore sulla città 25. L’architettura interplanetaria 26. Le dodici Città Ideali 27. Salvataggi di centri storici italiani (Italia vostra) 28. S-Space 29. Superstudio à la mode 30. Utopia, Antiutopia, Topia V. Gli atti fondamentali. life without objects (1971-1973) 31. Gli Atti Fondamentali. Cinque storie del Superstudio 32. Vita (Supersuperficie) 33. Educazione 34. Cerimonia 35. Amore 36. Morte 37. Gli Atti Fondamentali. Sommario 38. Concorso per il cimitero di Urbino VI. Per una cultura materiale extraurbana. architettura e antropologia (1973-1978) 39. Dal design trionfale ai sistemi 40. Global Tools 41. Viaggio con la matita tra gli artefatti del mondo contadino 42. Galassia di oggetti 43. La moglie di Lot e La coscienza di Zeno VII. Epilogo 44. Com’era ancora bella l’architettura nel 1966 di Adolfo Natalini 45. Viaggio al termine dell’architettura di Gian Piero Frassinelli Apparati a cura di Gabriele Mastrigli e Alessandro Toti Fonti dei testi Illustrazioni Opere 1966-1978 Stampati 1966-1975 Esposizioni selezionate Scritti Saggi e studi sul Superstudio Notizie biografiche Indice dei nomi

Fondata cento anni fa lungo la costa a nord di Cervia come centro di turismo balneare destinato alla borghesia milanese, Milano Marittima manifesta un ideale riferimento alle contemporanee esperienze di costruzione di “città-giardino”, e insieme rappresenta uno dei più compiuti progetti per una “città di vacanze” che siano stati concepiti in Italia nei primi decenni del Novecento. Il centenario della fondazione della città, le vicende della sua nascita e le successive trasformazioni urbane e architettoniche che si sono sovrapposte al piano originariamente concepito dal pittore milanese Giuseppe Palanti, costituiscono la cornice entro la quale si inscrive una riflessione sulla storia del turismo balneare e delle città e delle architetture che per esso sono state progettate. Una riflessione aperta al contributo di varie discipline ed estesa al contesto nazionale e internazionale, che si concentra anche sull’attualità e sul futuro, esplorando molteplici possibili trasformazioni dei territori costieri, della loro immagine e della loro offerta turistica.

Dalla sua scomparsa nel 1968, l’influenza di Marcel Duchamp, “l’uomo più intelligente del xx secolo” nelle parole di André Breton, non ha smesso di imporsi nel paesaggio dell’arte contemporanea. Dal Futurismo al Cubismo, dal Dadaismo al Surrealismo, la sua arte si intreccia alle grandi avventure estetiche del Novecento senza mai ridursi a nessuna di esse. Se Picasso insiste nel propugnare la figura dell’artista demiurgo, Duchamp, grazie all’invenzione del readymade, incarna invece il modello dell’artista contemporaneo ed è riconosciuto a partire dagli anni sessanta come fonte incontestabile di ispirazione da parte delle giovani generazioni di artisti. Molto è stato scritto sulla sua opera, ma assai di meno sulla sua vita. Una vita che Duchamp costruisce al di fuori delle categorie correnti, non già come artista o anarchico ma, per riprendere un suo neologismo, come “anartista”. Eleganza distaccata, libertà di indifferenza, compenetrazione dei contrari cui si aggiungono una costante rivendicazione della pigrizia e un disprezzo fisiologico per il denaro – diventano in lui gli strumenti originali di un modo inedito di porsi di fronte al mondo e alle cose. “Preferisco vivere, respirare piuttosto che lavorare.” Duchamp si è pronunciato spesso sulla propria vita con caustiche dichiarazioni che nel loro insieme delineano una personale economia di vita (ridurre i bisogni per essere davvero liberi) e una vera e propria arte di vivere.

Bilingual Italian / English – Cristallino, incontaminato, spontaneo sono aggettivi che descrivono uno degli artisti italiani più rappresentativi del Novecento. Schifano ha sempre indagato il lato meno eclatante, ma più vero, del mondo circostante: l’unico modo per essere sicuro di trovare qualcosa era per lui lavorare senza sosta. Essere è fare. A un certo punto della sua esistenza, Schifano si è interessato alla televisione, al bombardamento di immagini e di stimoli che poteva fornire, e alla possibilità di mantenere un contatto differito con la realtà allontanata dal suo contesto ideale. Pezzi live di vita vissuta e il catalogo ne è il grande racconto visivo. Solo alla fine delle trasmissioni inizia la vita vera, con l’apertura verso quella parte di esistenza generalmente isolata per non mettere a repentaglio la vulnerabilità emotiva. Se un giorno dovessero spegnersi le TV, i lavori di Schifano mostreranno che niente si crea o si distrugge, ma tutto si trasforma in eterno. Il volume è il Catalogo della mostra di Forlì (Fondazione Dino Zoli Arte Contemporanea, 26 ottobre – 18 gennaio 2008).

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