Fin dagli esordi Duchamp ha intrecciato con la fotografia un rapporto fecondo che ha attraversato la sua opera a più livelli, caricando il medium di nuove potenzialità. Macchina che vede ma non sceglie, che preleva frammenti di realtà senza l’intervento diretto della mano dell’artista, l’apparecchio fotografico è del tutto congeniale alla poetica duchampiana dell’indifferenza e del non fare. Non a caso egli abbandona il disegno e la pittura più tradizionali – colpevoli di fermarsi al retinico, cioè a una sensorialità e quindi anche a una scelta dettata dal gusto – per abbracciare un’attitudine “infrasottile”, categoria che racchiude quanto sfugge alla percezione umana e che può essere colto unicamente con l’ausilio della materia grigia. L’immagine – in primis quella fotografica – non è mai solo quello che è, né mostra solo ciò che rappresenta. Al contrario, è una porta su qualcos’altro, una breccia in quella quarta dimensione su cui Duchamp si arrovella senza requie: essa richiede allo spettatore un supplemento di attenzione, un secondo sguardo che non si fermi alle apparenze, dietro le quali, come nel gioco degli scacchi, un gambetto è in agguato. Sarebbe ingannevole, per esempio, considerare le numerose apparizioni fotografiche di Duchamp – la sua tonsura a stella immortalata da Man Ray, l’artista seduto a un tavolino e mentre cammina per strada nelle celebri immagini di Ugo Mulas, o ancora lo strabiliante “Marcel Duchamp all’età di 85 anni” – come tradizionali ritratti d’autore o di circostanza. Nascono invece dall’azione combinata di chi sta davanti e dietro la macchina fotografica, in un complesso gioco di rimandi dove le allusioni impalpabili eppure cruciali dell’arte di Duchamp non lasciano dubbi sulla loro intenzionalità come opere. Elio Grazioli documenta tutti i casi in cui il fotografico e la riflessione su di esso fanno capolino nell’opera dell’artista e ne indaga le risonanze all’interno del sistema duchampiano. Un sistema in cui ciascun elemento entra a pieno titolo in una strategia complessiva che prescinde dalla diversità dei materiali e anticipa un modo di fare arte che è oggi fra i più diffusi: quello di non specializzarsi in un solo linguaggio ma di metterli tutti al servizio di un’idea.

I protagonisti di queste pagine sono eroi ambigui entrati nel mito, simboli di bellezza, ma anche di fragilità e sconfitta. Custer è legato ad una disfatta, una epocale vittoria dei nativi americani sulle truppe che cercavano di conquistare il West. Maria Antonietta è l’ultima, bellissima e giovanissima, regina di Francia.
Non c’è Storia in questa rappresentazione: scompaiono i contesti, spesso anche gli interni: rimane il ‘costume’ per usare un’espressione cara al cinema che l’autore sente vicino. E così Maria Antonietta non è più Maria Antonietta, ma una solitaria, splendida donna; e Custer non è più Custer, ma un giovane in divisa. Entrambi non sono loro, ma la loro essenza, quello che di loro ci interessa: bellezza e solitudine.

The protagonists of this text are ambiguous heroes who have become idols, symbols of beauty, but also of fragility and defeat. Custer is linked to a defeat, an historic, momentous victory for the Native Americans over troops trying to conquer the West. The extremely beautiful, and very young, Marie Antoinette was the last queen of France.
There is no History in this representation: contexts vanish, often even the set:
‘conventions’ remain, to use an expression loved by the filming industry that the author feels close to. And so, Marie Antoinette is no longer Marie Antoinette, but a solitary, splendid woman; and Custer is no longer Custer, but a young man in uniform. Neither are themselves, but their essence, what is of interest to us: beauty and solitude.

Nata nel 1931, titolare dal 1965 della storica Galleria Milano, che dirige tutt’oggi, in questo ricco memoir Carla Pellegrini racconta la sua vita intensa, percorsa da incontri, da viaggi e da riflessioni. Essa a un certo punto coincide con quella della sua galleria, che negli anni ha esposto, spesso in anticipo sui tempi, i lavori di tanti importanti artisti contemporanei: dagli esponenti della Pop inglese nel 1966 alla Body Art più radicale in una mostra curata da una giovane Lea Vergine nel 1969, e poi una programmazione che ha spaziato in ogni direzione, dalla fotografia d’avanguardia al design, dalla cultura popolare a ricerche antropologiche, dall’amata arte tedesca al cinema sperimentale fino a mostre dettate da un chiaro impegno politico.A legare ambiti così diversi sono il gusto e la curiosità di Carla, ma soprattutto la sua vera motivazione: conoscere persone particolari. L’arte è un ambito ricco di persone che hanno caratteri o comportamenti singolari, fuori dalla normalità omologata, l’evocazione dei quali disegna una storia tutta da sovrapporre come un disegno su lucido trasparente a quella che troppo velocemente diamo per stabilita.

Attraverso i suoi diversi caratteri si disegna un percorso particolare dell’arte degli ultimi decenni, trasversale, non rispondente a movimenti e tendenze, fatto invece di affinità, di atteggiamento, di sensibilità e di pensiero. Da Rauschenberg, Johns, Warhol, a Nauman, Asher, Barry, Huebler, agli artisti più recenti, Gonzalez-Torres, Dean, Huyghe, Jan Ader, Vitone, Martegani, Marisaldi; dalla ripetizione alla tautologia, dalla copia al re-enactment, dal concetto alla performance, alla fotografia, l’arte ai limiti di ogni aspetto dell’arte.

Il primo volume di Imm’, intitolato Not straight. Documento, piega, inganno, introduce il percorso che si intende disegnare con la collana: l’immagine è un fenomeno complesso, non è solo documento, rappresentazione, testimonianza, ma lascia intravedere, deforma, porta al limite, svela uno sguardo, presenta un enigma; richiede così un supplemento di attenzione sia alle sue opacità, ripetizioni, che ai suoi raggiri, alle sue finzioni.

Tutti lo conoscono, la stragrande maggioranza lo identifica con le icone della cultura pop: i divi cinematografici, il cibo in scatola, le personalità famose; molti conoscono anche i suoi “Incidenti”, più drammatici e controversi; i cultori della musica pop ricordano le sue copertine di dischi, dai Velvet Underground ai Rolling Stones a Aretha Franklin; molti hanno anche visto o sentito parlare dei suoi film, spesso immobili o, al contrario, troppo incasinati. Chi non ha sentito le sue famose battute sul voler essere una macchina, sui quindici minuti di fama per tutti, sulla superficie dietro cui non c’è niente? Ma come sta insieme tutto questo e molto altro ancora di meno noto della sua attività? Pop, dandy, camp, Warhol solleva discussioni e interpretazioni anche opposte fin da quando ha iniziato la sua attività artistica. Il presente volume ricostruisce e arricchisce questo dibattito, raccogliendo testi e interviste inedite di Warhol e testi sulla sua figura e opera, da quelli che tutti citano ma ancora non erano a disposizione in traduzione italiana, a vari altri, e spazia dall’opera pittorica a quella cinematografica, fotografica, installativa, dalle analisi ormai storiche a quelle aggiornate ai più recenti studies.

Se ogni epoca ha un suo modo di collezionare, quello contemporaneo è segnato da un reciproco legame con la pratica artistica, tanto che le due attività spesso si sovrappongono fin quasi a confondersi. Gli esempi abbondano: da Joseph Cornell, cacciatore di bizzarrie con cui compone scatole divinatorie, a Claes Oldenburg, che espone come opera propria una raccolta di oggetti d’affezione; da Marcel Broodthaers, per cui il collezionare è all’origine della scelta di diventare artista, a Hans-Peter Feldmann che, sulla scia di Malraux, da anni ritaglia, classifica e incolla immagini per un insolito museo. Il collezionismo non è più solo affare di chi, non artista, raccoglie oggetti in quantità rilevante, ma diventa modalità espressiva di chi li accumula per costruire opere d’arte secondo il principio warburghiano del montaggio. D’altro canto, lo stesso collezionista è un artista che accetta di esprimersi tramite immagini dotate di un forte potere simbolico, tanto da essere quasi un’estensione della sua persona. Appena l’occhio li cattura, gli oggetti si caricano di qualità supplementari: spogliati della loro funzione, un sapiente lavoro di accostamenti e rimandi crea fra loro dialoghi inattesi, dando vita a un insieme organico che non tollera mutilazioni. La collezione assume così lo statuto di opera d’arte. Eclettismo, trasversalità, soffio personale definiscono una tipologia di collezione agli antipodi rispetto a quella chiusa e preordinata dei musei.

Gianluca Codeghini, ribadiamo, è radicale senza dare nell’occhio: offre delle immagini, degli oggetti, dei suoni, delle parole, delle frasi apparentemente tranquille e inoffensive, in realtà mira al nucleo del pensiero stesso: è lì che vuole introdurre il rumore, far perdere la regola, farlo girare su stesso perché, quando volesse trarre le fila del suo operare, al tempo stesso finisca col dubitare di aver teorizzato altro o alcunché, di aver fallito oppure riuscito inconsapevolmente altrove…

Some people once boldly predicted that photography would displace painting altogether. Others asked whether a photograph could be art in the first place. As it turned out, these two forms of expression have had a stimulating effect on one another during their long years of coexistence. The Image Regained illustrates, with works by outstanding contemporary artists and photographers, the intensity and consequences of this exchange over the past twenty years. Work by Amy Adler, Bernd & Hilla Becher, Rineke Dijkstra, Gilbert & George, Andreas Gursky, Amedeo Martegani, Elizabeth Peyton, Sigmar Polke, Gerhard Richter, Cindy Sherman, Thomas Struth, Jeff Wall, and others reveals that, more frequently than not, the encounter between painting and photography has rocked our very understanding of the image. Painting, under the influence of photography, is now finding its way back from the abstract to the figurative, whereas photography, in the 80s, claimed for itself the traditional painterly themes of portraiture and landscape. The breaking with conventional modes of perception has by now become programmatic. Paintings, for instance, now explore the properties of photography–the effects of light and shadow as well as blurred outlines for simulating different foci–and are hung next to photographs that suggest a painterly mode of creation. As varied as the artistic directions documented here may be, one commitment remains common: the endeavour to look long and close at our world, and to make the viewer stop and think.

Riconosciuto per consenso unanime come una fi gura storica della fotografi a italiana, Ugo Mulas resta tuttavia un autore controverso. C’è chi ama esclusivamente il suo primo periodo, rubricabile sotto l’etichetta del neorealismo e del reportage, di cui resta famoso il mondo del milanese bar Jamaica; altri lo stigmatizzano come “il fotografo degli artisti” per la sua innovativa ritrattistica di figure e opere di artisti internazionali, il cui capolavoro è il libro sulla Pop art; altri ancora lo celebrano come l’autore delle Verifi che, traghettatore tra i primi della fotografia nell’ambito dell’arte e dell’arte “concettuale” in particolare. Non solo: Mulas è stato anche grande fotografo di moda, di gioielli, di architettura, di teatro. Ma come si saldano i diversi aspetti della sua opera? Questo libro, di fatto la prima ricostruzione sufficientemente completa del percorso di Ugo Mulas, offre alcune chiavi per afferrare una personalità tanto sfaccettata. La figura morale dell’uomo Mulas e la ricerca della verità che sempre, in lui, si accompagna alla rappresentazione della realtà sono il filo conduttore del percorso realizzato, tra parole e immagini, da Elio Grazioli, che restituisce la ricchezza di un’avventura stroncata proprio quando avrebbe ripreso slancio per altri capolavori.

Franco Vimercati (1940-2001) è stato un artista meticoloso e schivo, interprete della natura silenziosa e ripetitiva del reale. Il suo interesse è sempre stato rivolto all’analisi di oggetti di uso quotidiano, come una bottiglia di acqua minerale, un ferro da stiro, una zuppiera, e alla composizione e scomposizione di una scena, ripetutamente assemblata secondo le necessità dell’occhio fotografico. Ma quella di Franco Vimercati non è una fotografia di oggetti. Piuttosto è una fotografia di eventi, di metamorfosi minimali e marginali, di avvenimenti che sfuggono al controllo. Non un catalogo di cose ma un archivio del tempo. Non si tratta di perpetuare con l’atto fotografico ciò che è avvenuto una sola volta ed è irreversibile, ma di dilatare e moltiplicare gli stati del tempo, per cui non c’è mai un fare ma sempre e solo un rifare. Senza inizio né fine. Senza progressione né arresto, ma come ripetizione di ciò che preesiste, come un continuo differire nell’uguale. Sarà un caso, allora, che un raffinato osservatore come Ghirri vedesse in Vimercati non solo l’autore per eccellenza di un “tempo illimitato e dilatato” ma anche lo strenuo sostenitore di una “dinamica dell’inanimato”? Il volume è stato pubblicato in occasione della mostra “Franco Vimercati. Un minuto”, a cura di Marco Scotini alla Galleria Raffaella Cortese, Milano. Raccoglie un’ampia selezione delle sue opere e interventi di Paolo Fossati, Luigi Ghirri, Elio Grazioli, Javier Hontoria, Angela Madesani, Simone Menegoi e Marco Scotini.

Opere di/Works by Evan Baden, Carla Cerati, Philippe Chancel, Thierry Cohen, Stefano D’Amadio, Cristina De Middel, Julia Fullerton-Batten, Andrea Galvani, Lucia Ganieva, Luigi Gariglio, Paul Graham, Rinko Kawauchi, Esko Mànnikkò, Tim Parchikov, Anders Petersen, Alessandro Rizzi, Mick Rock, Lise Sarfati, Sergey Shestakov, Viktoria Sorochinski, Hannah Starkey, David Stewart, Hellen van Meene, Weegee, Raimond Wouda, Tobias Zielony. Testi di/Texts by Alessandro Bartoli, Cosimo Bizzarri, Ginevra Bompiani, Fabio Boni, Ilaria Campioli, Fabrizio Cicconi, Piero Del Giudice, Duygu Demir, Laura Gasparini, Elio Grazioli, Walter Guadagnini, Francis Hodgson, Dzevad Karahasan, Carlo Massarini, Rossella Menegazzo, Marinella Paderni, Riccardo Panattoni, Sandro Parmiggiani, Laura Sassi, Tiziano Scarpa, Ilaria Schiaffini, Laura Serani, Olga Sviblova, Brian Wallis.

I testi presentati in questo libro sono dedicati all’arte italiana dal 1960 a oggi. La raccolta non pretende di offrire una sistematica rassegna di opere, artisti e movimenti che copra in modo esaustivo quell’arco temporale. Alcuni testi catturano primi piani, altri offrono panoramiche, per quanto parziali e selettive. Gli autori dei testi sono portatori di competenze, saperi e interessi assai vari: per esempio, c’è chi ha reso la storia dell’arte italiana contemporanea oggetto di insegnamento e ricerche specialistiche, chi scrive da attento testimone dei recenti artistici, chi considera la disamina delle opere d’arte inscindibile dalla politica e dalla storia delle idee. Sommario Pag.VII Attraverso l’evanescenza: appunti per un’introduzione Gabriele Guercio e Anna Mattirolo Primi piani Pag.3 Gas metafisico: la transavanguardia a New York Brooks Adams Pag.23 Gradi di visibilità: Roma anni ottanta Guglielmo Gigliotti Pag.43 L’arte povera a Roma Claire Gilman Pag.75 Eclissi: arte italiana negli anni sessanta Romy Golan Pag.105 Anni ottanta (e oltre): le ragioni dell’arte Elio Grazioli Pag.125 Le mie parole, e tu? L’arte povera e le sue affinità con il concettualismo internazionale e il romanticismo Jörg Heiser Panoramiche Pag.157 La discordanza inclusa. Arte e politica dell’arte Stefano Chiodi Pag.197 Miti anti miti Ester Coen Pag.225 Made in Italy. Fatto a mano, fatto a macchina, già fatto, rifatto Nicholas Cullinan Pag.263 Ytalya subjecta. Narrazioni identitarie e critica d’arte 1963-2009 Michele Dantini Pag.309 Il mito del Vinavil Pia Gottschaller Pag.343 L’opera d’arte e il divenire generico del creativo. Cinque momenti “italiani”? Gabriele Guercio Pag.391 In pura perdita. Strategie di opposizione all’opera-oggetto Giorgio Verzotti Pag.408 Indice dei nomi e delle opere Pag.415 Gli autori Pag.417 Ringraziamenti

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